Riproponiamo integralmente un articolo pubblicato su Libertà di educazione (n.6 del 2003, pp.67/69)
di
Francesco Bertoldi
Una
tesi che circola, in alcuni ambienti cattolici, sul rapporto tra
Occidente e Islam è che occorra tenere ben distinti Occidente e
Cristianesimo, salvaguardando quest’ultimo, ma giudicando il primo,
per come è oggi, al culmine di un lungo processo di
scristianizzazione giunto ormai al nichilismo più spinto,
indifendibile e meritevole di essere abbandonato al suo destino, per
riconoscere invece qualche benemerenza all’Islam, che, se non
altro, ateo e nichilista non è, e può persino dare una mano a un
recupero della Trascendenza.
Così,
ad esempio Michele Brambilla, brillante giornalista e saggista, ha
sostenuto recentemente, nel corso di una nota trasmissione
radiofonica, che l’impatto con l’Islam deve essere per l’umanità
occidentale occasione per recuperare quei valori che in questi ultimi
decenni sono stati abbandonati, col risultato che l’Occidente si
trova ad essere sì tecnologicamente, economicamente e militarmente
forte, ma moralmente debole e intimamente infelice. Dunque, prima e
piuttosto che accusare l’Islam che ci minaccia, pensiamo ad essere
un po’ più bravi noi. A nulla infatti servirà la superiorità
materiale, se non ci sarà un recupero di saldezza morale e
spirituale.
Non
si vuol dire che tali tesi non contengano una parte di verità: è
vero che l’Occidente, nelle sue élites fin dagli albori dell’epoca
moderna, e in modo sempre più radicale e diffuso dopo la rivoluzione
francese, si è allontanato dal Cristianesimo e così facendo ha
sperperato la sua ricchezza più preziosa.
Tuttavia
ci sono dei notevoli limiti in una impostazione che riduca la
questione in tali termini. Anzitutto perché facilmente può
istituire un cortocircuito moralistico: come se si trattasse di
raggiungere un certo “livello morale”, sotto il quale non si
sarebbe degni di dire alcunché e nemmeno di autodifendersi. Ora,
come già osservava Hegel contro Kant (l’interminabile duello allo
specchio per raggiungere l’inarrivabile adeguazione tra essere e
dover essere), il moralismo è un gorgo vorticoso da cui è
impossibile uscire, senza metterne radicalmente in discussione lo
stesso principio, che cioè il problema sia quello di conformarsi a
una legge astratta.
Un
autoavvitamento moralistico dell’Occidente è del resto
improponibile per varie ragioni: prima di tutto perché è ingiusto,
in secondo luogo perché è o inutile o (potenzialmente) dannoso.
Ingiusto: perché non è il metodo adeguato per proporre quella
pienezza di umanità, che è la sola degna meta di un cammino morale;
non si tratta di essere “più bravi”, più coerenti moralmente,
spinti come muli, frustati dall’urgere di circostanze esterne. E
poi, o inutile o dannoso: inutile in quanto l’umanità occidentale
ha dimostrato per due secoli di essere, in nome della “libertà”,
sorda a un richiamo moralistico, quale è stato purtroppo troppo
spesso quello risuonato nelle chiese, anche in quella cattolica;
dannoso, in quanto semmai un tale richiamo avesse effetto, avrebbe
come conseguenza quella di disarmare quella lucidità di vigilanza e
quella prontezza di riflessi che sono tanto più necessarie in
quest’ora di serissime minacce terroristiche. Tutti presi dalla
smania di autocorrezione moralistica, gli occidentali sarebbero
propensi a minimizzare e perdonare qualsiasi cosa, se non addirittura
a considerarla come salutare purificazione.
Ciò
detto, resta da vedere quale valutazione si possa dare dell’Occidente
in merito al suo legame col Cristianesimo. Se la distinzione tra
Occidente e Cristianesimo è indiscutibile, per i motivi già
accennati e che sono da molto tempo opinione largamente condivisa
dentro e fuori del mondo cattolico, resta da vedere quanto resta, in
questo mondo secolarizzato e disparatamente nichilista, di quel
Cristianesimo che ne è comunque stato il fondamento e l’anima.
Personalmente
ritengo che vi sia più eredità cristiana di quanto non si ammetta
comunemente, anche nel pensiero e nelle manifestazioni più
dichiaratamente atee e nichiliste dell’Occidente. Al di là,
ripeto, della esplicita autocoscienza di gran parte dell’Occidente.
L’Occidente
deve molto al Cristianesimo: il senso della persona come valore
infinito, e al contempo il valore della solidarietà verso tutti e
non solo verso chi appartiene alla Umma,
il senso del lavoro come operosità positivamente costruttiva, la
stima per la razionalità, da cui è nata la scienza, il valore della
donna, il senso della giustizia sociale, per non citare che alcune
delle maggiori idee di cui l’Occidente è debitore, seppur ingrato,
al Cristianesimo.
In
un certo senso si potrebbe dire che tutto quanto di positivo e di
costruttivo sia stato affermato dall’Occidente sia di matrice
oggettivamente
cristiana, a dispetto dei ciclopici tentativi, fatti nel XIX e XX
secolo, per strapparsi di dosso tale marchio.
Troppo
spesso invece, nel mondo cattolico, si è avuto uno sguardo
sussiegoso, incapace di valorizzazione e di recupero del positivo,
una sdegnosa schizzinosità: verso la scienza prima, verso il mercato
e la ricerca del benessere poi, e dopo ancora verso la democrazia e
la giustizia sociale. Ciò che era oggettivamente figlio, è stato
ripudiato e spinto lontano. O, almeno, non è stato riconosciuto come
figlio, aiutandolo a correggere i propri errori, che certo c’erano
e non erano pochi.
Per
dirla con Eliot (Cori
della Rocca), se in
parte è stata l’umanità ad abbandonare la Chiesa, in parte è
stata però la Chiesa ad abbandonare l’umanità (occidentale),
bacchettandone gli errori piuttosto che tentando di incanalarne il
positivo in una orientazione pienamente costruttiva.
Non
è detto infatti che lo Spirito soffi solo su chi ha … la tessera
dell’Azione cattolica o frequenti l’Oratorio con devota
ossequiosità. Quante volte un atteggiamento clericale, così
splendidamente condannato da Péguy, non ha aiutato a riconoscere
anche nel grido di un ateo un brandello di verità. Ci sono volute,
nel XX, intelligenze come don Giussani e de Lubac hanno saputo
trovare del vero anche in atei, come Leopardi, o Nietzsche, o
Pascoli, o Pasolini.
In
un certo senso, in effetti, ci sembra che l’Occidente, anche in
molte sue proposte che dicono di rinnegare il Cristianesimo, sia
comunque più vicino, dialetticamente se non staticamente, al
Cristianesimo, di quanto non lo sia il più devoto mussulmano.
Usiamo
i termini dialettico e statico nel senso usato da Kierkegaard:
statica è la distanza di fatto in un certo momento, senza che sia
dia possibilità di modifica, dialettica è quella che facilmente
potrebbe cambiare, ove intervenissero (come possibile, se non
probabile) certe condizioni. Così una moglie che abbia litigato
aspramente col marito è staticamente più vicina al primo passante
che incontra, ma dialetticamente resta comunque più legata al
marito, nel senso che potrebbe bastare un attimo, la parola giusta,
lo sguardo giusto, per riavvicinarla al marito, mentre col primo che
passa, pur non essendoci ostilità, c’è comunque una estraneità
di fondo.
Si
badi: non stiamo parlando dell’intenzione morale delle singole
persone, della loro qualità morale, per così dire; non stiamo
dicendo che gli occidentali religiosamente indifferenti siano in
quanto tali e comunque più buoni degli islamici più devoti; stiamo
parlando di un substrato culturale, di idee, che sostanziano delle
mentalità, in qualche modo malgrado
i singoli.
Così
ci sembra che i funerali dei morti di Nassyria abbiano dimostrato
che, almeno in Italia, sotto la cenere di un apparentemente
totalizzante nichilismo consumista, vive una insospettata brace di
nostalgia per una tradizione, a cui molti, più di quanto non si
potesse pensare, non vogliono rinunciare soprattutto ora che essa
appare drammaticamente minacciata.
Più
in generale dopo l’11 settembre ho l’impressione che anche sotto
certe forme, che in passato si sarebbero più tranquillamente
definite come beotamente superficiali, come il luccichio (letterale e
metaforico) natalizio, si celi, almeno per molti, un inespresso e
implicito bisogno di una tradizione, che evidentemente desta uno
struggimento di nostalgia. La stessa moda delle piccole croci al
collo, non saremmo così sicuri che non esprima in molti casi, per
quanto rozzamente e incoscientemente, una oggettiva nostalgia
identitaria, il cui nocciolo positivo sarebbe più saggio recuperare
che reprimere. Ci sembra in effetti che il compito di chi ha una
coscienza più matura e lucida non sia quello di sferzare questi
timidi, balbettanti e magari contorti vagiti, ma di offrire loro
l’aiuto di una testimonianza di pienezza umana, perché diventino
un primo ponte verso un recupero totale del loro Fondamento adeguato.
Tutto
questo non toglie che ci sia anche una cultura occidentale,
lucidamente anticristiana, e vaccinata a ogni ritorno alla Verità su
cui si è costruita l’Europa, una cultura sazia del proprio
nichilismo e del proprio cinismo. È chiaro che questo
settore è di per sé indifendibile.
Se
non che da un lato questa cultura si intreccia nelle stesse persone e
negli stessi gruppi con quel residuo di nostalgia cristiana non priva
di aperture, di cui abbiamo sopra detto; e d’altro lato, nella
misura in cui essa si presenta allo stato puro, è proprio questa
cultura lucidamente e cinicamente anticristiana a proporre un
abbraccio con quell’Islam più anticristiano, in funzione di una
espulsione di Cristo dalla realtà concreta dell’Europa.
Non
si tratta allora di puntellare qualcosa di immorale, un Impero
decadente che starebbe cadendo sotto la pressione delle forze fresche
e vitali dei nuovi barbari, ma di aiutare l’Occidente a ritrovare
le sue più vere radici, non insistendo tanto sull’osservanza di
leggi e di valori, che rischierebbe un inconcludente e stantio
moralismo, ma testimoniando che quella Novità imprevedibile che l’ha
plasmato è ancora viva, “ieri oggi e sempre”, con la sua forza
umanizzatrice, con quella pace e quella gioia “che il mondo non può
dare” e che altrove invano si cercherebbe.
Davvero un ottimo articolo, che purtroppo ho scoperto in grande ritardo! Analisi profonda e condivisibile! Strano che apparentemente non abbia ricevuto alcun riscontro...
RispondiEliminaAndrea Tedesco